22 Mar Chiacchiere da bar su Cambridge Analytica, Facebook, Google e tutto quanto
Avete notato anche voi che il tema della gestione dei dati ottenuti da Facebook da parte di Cambridge Analytica per la profilazione degli elettori e il loro eventuale condizionamento è passato da tema per smanettoni a prima pagina dei peggio giornali? Con Daniele (mio cugino, web-coso e attivista politico) se ne parla da qualche giorno, con l’occhio di due allenatori di terza categoria che al bar parlano dei problemi di spogliatoio del Barcellona. Invece che dalla Gazzetta sul bancone dei gelati siamo partiti da questo intervento audio su Repubblica.it di Daniele Bellasio.
Daniele: “Trovo questo articolo, uscito oggi [ieri, 21/03/2018], piuttosto imbarazzante ed è uscito su Repubblica. Mamma mia. Fa una confusione orrenda.”
Fabio: “Il problema di parlare di Big Data (parlo di tutto l’argomento) è che le persone non hanno idea di cosa stai parlando quindi inevitabilmente quasi tutti gli articoli divulgativi devono partire da Adamo ed Eva e non riescono a centrare i punti essenziali della questione”.
D: “Sì, ma non puoi in un articolo – per quanto divulgativo che sia, anzi, a maggior ragione se è divulgativo – mischiare dati sensibili e personali con i dati del traffico aereo. Non puoi far intendere che la manipolazione della sensibilità delle persone ha qualcosa a che fare con i dati sul traffico, perché è una cazzata, anche tecnicamente parlando”
F.: “Credo che ci sia un problema enorme di alfabetizzazione, non perché nessuno si è preoccupato di alfabetizzare (anche), ma soprattutto perché molti elementi sono entrati nel dibattito e nell’agire a una velocità tale da non consentire né una riflessione né una alfabetizzazione”.
D.: “Nessuno attacca i database in quanto tali. Si attacca un certo tipo di raccolta dati e l’uso potenziale che se ne può fare: cosa c’entra la logistica? Non c’entra niente con l’oggetto del discorso. Anche la tesi per cui l’alfabetizzazione è risolutiva rispetto a certi meccanismi non mi convince. La televisione, settant’anni dopo dalla sua nascita come fenomeno di massa, dopo che tutto ciò che poteva essere scritto e detto sulla televisione è stato scritto e detto, resta un’arma di persuasione egualmente potente che necessita di regolazione; questa necessità non è stata sostituita da una accresciuta consapevolezza che impedisce all’utente ormai maturo di guardare Del Debbio e assimiliare cazzate…”.
F.: “Anni fa Google aveva lanciato Flu, un esperimento per individuare la diffusione della influenza in base alle ricerche utenti. Chi conosce questo tipo di programmi? Noi smanettoni”.
D.: “Esatto”
F.: “La democrazia è alfabetizzazione, senza non c’è democrazia o quantomeno è incompleta, è più fragile. Non è un caso che fosse un problema per un Don Milani o per gli operaisti dell’ottocento (che facevano i tipografi). Alfabetizzazione oggi è padronanza della comunicazione, nei suoi aspetti formali e tecnici: leggere, scrivere, far di conto, accendere e spegnere un canale di comunicazione. Poi se sai programmare è anche meglio. Non penso che l’alfabetizzazione sia una panacea, penso che sia la soglia minima dalla quale devono partire le società di massa. Poi che il futuro siano un certo tipo di società è tutto da dimostrare o da capire”.
D.: “Non sminuisco l’importanza dell’alfabetizzazione: sto dicendo semplicemente che la limitazione dei danni dello strumento non li ottieni con l’educazione digitale, ma con argini politici e normativi. Non è pensabile che tutti gli utenti diventino scienziati della comunicazione e quindi siano in grado di filtrare individualmente i meccanismi di condizionamento. Quella formazione serve al decisore politico ma proporla come soluzione di massa mi pare irrealistico”.
F.: “In quasi tutti vedo una grande rinuncia, quella alla complessità, è come se le persone (inclusi i se-dicenti intellettuali) sentissero di non poter gestire la complessità e quindi la rifiutano”.
D.: “E’ lo stesso meccanismo per cui qualcuno oggi attacca le singole persone per il condizionamento che hanno subito in termini politico/culturali. Come se fosse colpa loro se non sono in grado di riconoscere un’azione di mera propaganda pubblicitaria. Anche questa è una rappresentazione semplicistica e di comodo, semplicemente non è così.”
F.: “Le persone votano in base alla pubblicità dai tempi di Socrate e Platone Poi cambia il modo di chiamarla ma fondamentalmente la ricerca del consenso è politica. Non ha senso attaccare la pubblicità politica o il marketing politico, è come attaccare la possibilità stessa di fare politica e di convincere uno a votare per te. Su Trump secondo me rimane in piedi un enorme equivoco. Trump ha vinto prendendo meno voti di Hillary Clinton e da quanto è presidente i repubblicani hanno perso quasi tutte le elezioni o sono comunque andati molto male. Trump non è la fine della democrazia americana, ma un nodo su come funziona quel sistema (poi ci sono le politiche di Trump e le sue idee, ma sono un’altra cosa). Se ci fosse in giro un “obama” si mangerebbe Trump per colazione, non è assolutamente un trascinatore di folle, ma un polarizzatore che ha vinto “hackando” il sistema.
D.: “Guarda che siamo d’accordo e non criminalizzo la propaganda, figurati se lo faccio, io. È esattamente il contrario. Se volessimo fare un discorso più ampio chi distingue la “pubblicità” dall’informazione mi dovrebbe esattamente spiegare dove mette il confine e come fa a dare dell’idiota a chi non è in grado di distinguerle: basta aprire un qualunque giornale”.
F.: “Comunque, credo sia una cosa importante, a Davos George Soros poche settimane fa ha annunciato che avrebbe venduto le azioni di Facebook e Google, sostenendo che erano diventati troppo grandi e che gli Stati avrebbero dovuto prendere posizione (riassumo) o che si aspettava che avrebbero preso posizione, in chiave anti-trust. Credo che siano maturi i tempi per leggi antitrust sul digitale, specifiche, perché specifiche sono le tecnologie. Mi sarei anche stancato di stare a unire i puntini ogni volta 😀”.
D.: “Beh, il tempismo è sospetto”.
F.: “È che le cose sono complesse, se ci stai dentro ti accorgi di quanti elementi sono in gioco, se le guardi da fuori buttando l’occhio ogni tanto ti perdi la dimensione di quello che succede”.
Poi stamattina gli ho condiviso una intervista a Fabio Giglietto.
Nell’intervista Fabio Giglietto dice:
In queste ore si parla di un’incognita, ovvero il partito italiano che ha utilizzato Cambridge Analytica, secondo lei è la Lega o il Movimento 5 Stelle ?
Sinceramente non lo so, penso che Casaleggio e Associati ho la sensazione che abbiano una sua strategia messa in campo da tanti anni quando il blog di Beppe Grillo ha iniziato ad avere successo su scala globale, Il Movimento 5 Stelle ? non credo che avessero bisogno di Cambridge Analytica se ci dovesse essere un partito che si è presentato alle ultime elezioni che puo’ avere utilizzato quei dati, potrebbe essere la Lega.
D.: “Ho pensato lo stesso su 5s, Casaleggio fa da sé quello che fa Cambridge Analytica, non ha senso che si rivolga a terzi”.
F.: “Riporterebbe con quello che dicevo della strategia di segnalazione degli avversari”.
D.: “Beh, dopo i fatti di Traini hanno bannato un mare di antirazzisti da Facebook , a me pare evidente che c’è stato “qualcosa” che ha agito con quell’obiettivo. Anch’io ne scrissi giorni fa.”.
F.: “Dicevo Lega, tu Casapound”
D.: “E’ vero. Chi fosse non lo so, io pensavo a Casapound perché quelli che sono stati bloccati parlavano principalmente di fascisti, non di leghisti. In misura molto minore, diciamo”.
F.: “Il tema era il razzismo, secondo me”.
Durante l’ultima campagna elettorale alcuni account di attivisti politici e docenti universitari sono stati sospesi da Facebook per il contenuto razzista di alcuni post. I post segnalati erano anti-razzisti in realtà, ma spesso contenevano alcune parole che per la piattaforma violano i termini di servizio, come “negro”. Diciamo che in qualche caso la comprensione del testo del sistema automatico o dei controllori è stata lacunosa (eufemismo).
Nel suo post in Facebook Fabio Giglietto aggiungeva alcuni elementi alla sua riflessione.
Nessuno, inclusa Facebook stessa, è in grado di prevedere in anticipo come una comunità globale e connessa composta da oltre un miliardo di persone reagirà ad ogni piccola o grande innovazione proposta. Certo vengono fatti gli A/B test, ma la creatività degli utenti (specie di quelli senza scrupoli) supera sempre la più fervida immaginazione dei progettisti.
Oggi è facile dare la colpa a Facebook, ma quale legislatore/scienziato/mago avrebbe potuto governare questa infrastruttura tecno-sociale con successo ed evitando conseguenze impreviste? Forse dovremmo liberare Facebook della necessità di innovare riconoscendone un ruolo pubblico, ma quanti bravi programmatori sono già pronti ad accogliere nel loro nuovo social media super-innovativo le mandrie di utenti annoiati da una piattaforma social che non innova?
D.: “Sì, giustissimo, il nodo è quello finale, che ripeto da tempo. Facebook non è più servizio, è infrastruttura, come Google”.
F.: “Anche Twitter dovrebbe esserlo”.
D.: “sì, anche Twitter, benché la sensazione è che Twitter sia un po’ più neutrale come natura intrinseca proprio”.
F.: “Twitter ha una capacità di veicolare in tempo reale che non ha nessun altro, oltre a permettere la lettura completa del feed. Il problema in tutti questi ambienti sono i bot”.
D.: “Ma tutte le transazioni elettroniche sono sottoposte a questo rischio. ‘Sto problema non lo elimini neppure se Twitter fosse sotto controllo pubblico, diversamente dagli altri problemi sui dati di cui parlavamo”.
F.: “È chiaro, ma un conto è affrontare il problema, un altro è alzare le spalle”.
D.: “Ah certo. Però l’unica soluzione tecnica realizzabile mi pare sia un’autenticazione strong, legata all’identità, e penali per utilizzi abusivi. Non vedo altri strumenti tecnici, in pratica una forma di firma digitale, una sua qualche declinazione”.
F.: “Google ci aveva lavorato tempo fa, poi Facebook Login ha interrotto il processo [mi riferivo al protocollo OpenId]”.
D.: “Tra l’altro, il Google login permette di accedere a tutta la rete di contatti Google, il che vuol dire che quella che per Facebook era considerata “falla” e oggi inibita, come possibilità, Google ce l’ha ancora aperta”.
F.: “Sì, però non accedi ai dati di profilazione, costruisci la rete sociale”.
D.: “Ma sempre che non si capisce perché mai Google dovrebbe conoscere (e far conoscere a terzi) la mia rete sociale, o una sua parte, sulla base di un assenso dato dai miei contatti. Per sapere che Tizio e Caio sono collegati dovrebbe occorrere il consenso sia di Tizio che di Caio, l’informazione non può restare nella disponibilità del singolo, perché dalla somma degli assensi dei miei contatti non può risultare la MIA rete sociale: sarebbe una palese violazione di principi base di privacy”.
F.: “Dovresti avere molti altri dati da incrociare per ottenere qualcosa di più”.
D.: “Pensaci, non è così poco: se io uso il login di Google per accedere, che so, a Raiplay (l’ho fatto), e sono magari interessato a un certo tipo di documentaristica, da quello si risale a caratteristiche di profilazione piuttosto accurate”.
F.: “Altro problema è il remarketing, nel quale cedi e mescoli dati di fonti diverse praticamente in maniera esponenziale. Se vuoi usare il remarketing in maniera spinta puoi fare cose oscene”.
D.: “Il fatto è che il remarketing viene, nel discorso pubblico, considerata addirittura pratica utile nel momento in cui è mediata dal raccoglitore di dati, quando in realtà è oscena pure in quel caso. Il punto non è se Google mi dà direttamente i dati per il remarketing o, invece, mi permette di farlo in maniera mediata, non è quella la differenza sostanziale. Invece stanno portando la discussione sul problema del “leak” come se il nodo centrale fosse che Cambridge Analytica quei dati li ha venduti. Non è quello il punto, a mio avviso non mi sento più sicuro se quei dati se li tiene facebook e si fa pagare per fare la stessa cosa”.
F.: “Quello è il punto in senso strumentale. È come Al Capone che va in carcere per evasione fiscale, serve a sollevare una discussione”.
D.: “Già. Speriamo sollevi anche quest’altra di discussione però, perché l’altra è speciosa: e infatti Zuckerberg ci s’è buttato a capofitto, non gli pare vero. “Bravi, parliamo di questo, abbiamo sbagliato a DARE i dati””.
F.: “Credo che il commissario europeo per la privacy non sia così d’accordo negli anni li hanno bastonati abbastanza”.
D.: “Ho sentito, ma avrà forza politica sufficiente?”.
F.: “C’è anche una sentenza in Belgio di quindici giorni fa”
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2018-02-19/il-belgio-contro-facebook-traccia-utenti-anche-altri-siti-multa-milionaria-arrivo–111455.shtml
D.: “È un peccato che queste cose ce le siamo dette solo in una chat”.
F.: “Allora facciamone un post”.
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